Si lascia la via consolare e, dopo circa quaranta chilometri, la modernità si affievolisce: l’aria profuma di pane appena sfornato e una piazza sembra congelata in una scena di celluloide. Chi arriva a piedi dal parcheggio nota subito un particolare visivo — le facciate tinteggiata, le persiane chiuse e i vicoli stretti — che non appartengono ai quartieri nuovi di periferia. È una sensazione che raccontano anche i residenti: non è solo turismo, è memoria materiale, un luogo dove l’immagine degli anni Cinquanta è ancora leggibile tra le pietre.
Il borgo che sembra un set degli anni Cinquanta
Alle porte di Roma c’è un paese che restituisce immediatamente questa impressione: Castel San Pietro Romano, situato a circa 40 km da Roma sulla strada che porta verso Fiuggi, passando per San Cesareo e Zagarolo. Con meno di mille abitanti, il borgo si distingue per strade in salita, una rocca che domina il centro e angoli dove la luce crea contrasti netti, tipici delle pellicole classiche. Qui sono stati girati più di una scena di film italiani noti: la presenza delle comparse è stata sostituita negli anni da targhe e cartelli che segnalano le location cinematografiche, e questo passaggio dalla produzione cine-televisiva alla memoria pubblica è evidente a chi osserva.

Visitare il borgo significa anche percorrere una piccola mappa del cinema nazionale: le insegne che ricordano i titoli, i punti fotografici consigliati e le didascalie che citano pellicole come Pane, amore e fantasia o Il federale trasformano una semplice passeggiata in un tour tematico. Un dettaglio che molti sottovalutano è la qualità della luce, che cambia a seconda dell’ora e rende più credibile l’idea di essere su un set degli anni Cinquanta. Chi vive in città lo nota come un’atmosfera diversa, meno frenetica e più ancorata a testimonianze materiali.
Quello che si vede e quello che resta nella memoria
Oltre al ricordo cinematografico, Castel San Pietro Romano offre elementi concreti: i resti della rocca, vicoli che scendono verso la piazza principale e botteghe che mantengono attività tradizionali. Nelle strade si trovano cartelli che indicano i punti di ripresa e scorci utilizzati in diverse produzioni; non è una costruzione ad hoc, ma una stratificazione di pratiche produttive e quotidiane che si è consolidata nel tempo. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è l’uso dello spazio pubblico: qui la piazza funziona ancora come luogo di relazione, non solo come cornice fotografica.
Accanto ai ruderi del castello si trovano laboratori artigiani e un forno storico che da decenni è parte della vita locale; il prodotto tipico, il giglietto, è citato nelle conversazioni e consumato dai visitatori come elemento che collega gusto e memoria. Le visite non devono essere interpretate come un semplice selfie point: raccontano una storia del territorio, una relazione tra cinema e paesaggio che si manifesta anche attraverso dettagli quotidiani. Per questo motivo, molti scelgono il borgo per un’escursione di mezza giornata: è un luogo che conferma come, nel Lazio, la vicinanza a Roma non esaurisca la ricchezza culturale e storica. Una realtà che invita a guardare oltre la Capitale, e a misurare la distanza tra set e vita reale con occhi più attenti.